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Omero
si sarebbe espresso così alla notizia della morte di Diego Armando
Maradona: Divino Diego! La notizia della tua morte mi è giunta
all’orecchio come un fulmine a ciel sereno. Stento a malapena a reggermi in
piedi, sebbene intorno a me gli uccelli cantino e l’olezzo dei fiori sia
intenso e profumato, e i raggi del sole infondano tepore alle mie logore ossa
dal martirio del gelo, e la pietra marmorea su cui sono seduto m’innalzi su un
promontorio da favola, io piango come un pargolo e lascio che il dolore mi
travolga, mi collassi, soltanto così io so amarti e lodarti.
Fosti
terreno in vita e immortale in morte. Le tue imprese nei teatri
calcistici del mondo hanno infervorato e basito l’universo intero. Persino gli
Dei, (miei Divini eletti), siatene certo, s’inchineranno dinanzi alle vostre
spoglie gelide come comuni mortali.
Dinanzi
alla morte ogni creatura si spoglia della sua nomea che la vita gli ha
consacrato, ma per noi che, l’alito di vita ancora permane, non dimentichiamo i
nostri cari estinti, finché in futuro batterà un cuore umano la
storia vivrà e sarà raccontata con commozione. Voi, Diego, siete entrato di
diritto nella storia, ciò vi rende immortale come il leggendario Achille, il
prode Ulisse e i semidei Enea, Ercole e Cesare.
Con profondo e sincero cordoglio, dal vostro più devoto estimatore, Omero.
Omero, poeta epico greco vissuto tra il IX e il VII sec. a.C.
Il
mondo intero, incluso me, piange la prematura dipartita di Diego Armando
Maradona. Tutti si sono espressi in maniera lodevole nei suoi confronti,
sicuramente con il cuore in mano. Non si può non amare un calciatore che ha
reso un semplice pallone, che ha fortemente voluto da bambino, tanto da dormirci
insieme come fosse una bambola, in un astro mediatico, capace di trasmettere
un’empatia diluviante in tutto il mondo.
Chi
ama il calcio non può non aver amato Maradona, qualunque sia la sua squadra del
cuore, non può certo oggi esimersi dal provare un briciolo di commozione per la
sua precoce morte, nel bene e nel male siamo tutti umani, non siamo perfetti e
non lo saremo mai.
Il
mio più profondo abbraccio virtuale va alla meravigliosa e divina Napoli che
oggi soffre e piange per il calciatore argentino che ha adottato come un
figlio, diventato di diritto il suo Re eterno.
Desidero aggiungere due miei racconti, tratti dal mio libro: L'Oro Azzurro di Napoli, (2012) dedicati a Maradona, un omaggio che mi sento in dovere di offrire e alla quale spero sia gradito agli ammiratori del mio Blog.
L’Altarino
Un’epigrafe, incisa su una targhetta rettangolare di rame, commemora e celebra le sue gesta e la sua divinità. Non c’è napoletano o forestiero che passando dinanzi a questo altarino non si soffermi a guardarlo e ad ammirarlo, leggendo ad alta voce l’incisione che dice:
Dio, fattosi uomo, è sceso sulla terra. È sbarcato a Napoli e ha indossato la casacca azzurra, trionfando in tutti gli stadi del mondo. Appeso le scarpette al chiodo, il Dio uomo elargisce ai napoletani la sua divinità. Ave, Maradona. Vox populi, vox Dei.
Se per i napoletani tale altarino è motivo di orgoglio e di fede, per il resto del mondo è un pretesto per suffragare la micragnosa realtà dei napoletani, i soli e unici capaci di escogitare simili genialità, invece di pensare ai problemi reali e seri di cui sono afflitti da sempre. Chi non è napoletano non può comprendere la sua vera fede, non può lontanamente supporre il fuoco che crepita nel suo animo, non sa di quale magia egli è dotato e quali doni egli possiede, come l’arte, la fantasia e la viva allegria. Non può sapere cosa scorre nel suo sangue caldo.
Non c’è un giorno che qualcuno non doni un fiore olezzo, nel gran vaso adibito per l’occasione, e una moneta, nel raccoglitore in basso all’altarino, che non si faccia il segno della croce o che non reciti una preghiera. Fu il parroco Luigi a benedire l’altarino nel lontano 1995, alla presenza di una cospicua folla eccitata e plaudente. Era una fredda serata d’inverno, pitturata da un magico tramonto. Da allora si sono succeduti molti miracoli, non eclatanti. Per la sua nomea divenne in breve tempo una meta per i turisti, inserita nel tour escursionistico della città. I giapponesi mostrarono particolare interesse per l’altarino, scattando con eccitazione fotografie e video in cui s’immortalarono anche loro.
L’acme della gioia raggiunge il suo apice alle partite del Napoli, sia in campionato sia in coppa. Un paio di ore prima della partita, il vicolo si gremisce di fedeli, raccolti in preghiera per propiziare la vittoria del Napoli. La fotografia della squadra del Napoli è affissa alla destra dell’altarino. Il vaso si riempie di fiori freschi e profumati, le monete sciorinano con dolce melodia nel raccoglitore, prossimo a riempirsi. Un fedele, immoto alla sinistra dell’altarino, a turnover con gli altri, indossa la maglietta della squadra avversaria e subisce gli scongiuri e gli sfottò della folla per tutta la durata della partita. A vittoria ottenuta, si festeggia con spumante e dolcetti.
Un bel mattino si presenta nel vicolo un milanese e un torinese, entrambi curiosi di vedere di persona il tanto citato e miracoloso altarino. Sono due rappresentanti di giocattoli e spesso fanno capolinea a Napoli per promuovere e vendere la loro pregiata merce. Data l’ora mattutina, nel vicolo non c’è nessuno. Il sole martella con vigore perché non è pago del suo calore, addolcito da una tenue brezza di vento. Il milanese si deterge il sudore dal volto e dal collo con un fazzoletto rossonero, il suo amico torinese lo imita con un fazzoletto bianconero.
Improvvisamente, come per incanto, il sole ecclissa. Ombre buie e sinistre giganteggiano nel vicolo, fulmini e saette esplodono dal cielo, e il vento inizia a soffiare con ira. Dall’altarino si diffonde una luce celestiale tinta d’azzurro, tanto forte da accecare e annichilire i due amici, entrambi con le mani schermati sugli occhi. Una voce cavernosa scaturisce dalle labbra sorridenti della reliquia in argento, rivolta in tono minaccioso ai due nordisti, che a parer suo osano beffeggiarlo.
Egli tuona: - Come osate, stranieri, sventolare dinanzi a me i vostri drappi rossoneri e bianconeri? Un solo colore è permesso esibire e sventolare in questo vicolo sacro, l’azzurro. Riponete i vostri drappi e abbiate rispetto di questo luogo. Chi ha fede in me, ogni suo desiderio si avvera.
I due amici ripongono entrambi il rispettivo fazzoletto nella propria tasca del pantalone e immediatamente il sole riappare luminoso e martellante nel cielo azzurro.
Il silenzio è rotto da un’improvvisa gazzarra scatenata da una decina di bambini, usciti dalle loro abitazioni di corsa. Accerchiano i due nordisti è rivolti a loro gridano all’unisono: - Voi due non siete di fede napoletana, altrimenti il tempo non cambiava. Comprate bandiere e sciarpe del Napoli e ogni vostro desiderio si avvererà.
I due nordisti affiancano l’altarino con sciarpa e bandiera del Napoli e si fanno immortalare in una foto.
Il Sosia di Maradona
«Un cappuccino zuccherato e una sfogliatella», ordinò al barista appena si avvicinò al bancone.
Questi, sporgendosi dal bancone, lo guardò dal basso in alto con stupore.
Tutti i suoi clienti lo imitarono.
«Che tu guarda, barista? Io essere Diego Armando Maradona».
Da pochi giorni il fuoriclasse argentino era stato ingaggiato dalla società sportiva Calcio Napoli.
«E' io sono il Papa».
Tutti i clienti restarono con il fiato sospeso.
«Tu non puoi essere il Papa, perché il Papa essere polacco»
«Tu non sei Maradona perché Maradona essere argentino».
«Io sono argentino ed essere Maradona. Vuoi tu vedere me, palleggiare con arancio?»
«Se riuscirai a fare cento palleggi con un arancio, nessuno dei presenti avrà dubbi che tu sia Maradona».
«Dare me arancio, io fare cento palleggi».
«C'è un cesto pieno di aranci, scegli tu quale prendere».
«Io prendere arancio più grande. Porta tu il conto, barista?
«Con molto piacere. 1, 2, 3, 4. 98,99,100».
«Allora tu credi che io essere Maradona?»
«Non ancora. C'è qualcosa in te che non mi convince».
«Io essere Maradona. Stessi capelli, stessa voce, stessa altezza, stessa bravura con arancio. Che cosa vuoi tu che io fare per convincerti?»
«Maradona ha un tatuaggio di Guevara sul braccio destro».
«Io mostro a te Guevara sul mio braccio destro. Sei tu convinto adesso che io sono Maradona?»
«Non ancora. C'è qualcosa che mi sfugge. L'orecchino? Sì, ce l'hai».
«Io non avere tempo. Tu dare me cappuccino e sfogliatella ed io non pagare».
«Adesso ci sono. Tu non sei Maradona perché Maradona non farebbe una figuraccia simile».
«Io essere stato rapinato portafoglio in strada prima di entrare in bar».
«Ma a chi vuoi fare fesso».
Nel bar entrò un uomo di corsa con la lingua di fuori e il sudore che gli grondava dal viso.
«Mister Maradona», disse con voce strozzata. Tirò un lungo respiro per rifiatare e aggiunse sconsolato: «Ho corso come un dannato ma non sono riuscito ad acciuffare il ladro. Quello correva come una saetta. Ho trovato il vostro portafoglio nel contenitore dell'immondizia, c'è l'ha buttato quel bastardo. Ha preso tutto ciò che c'era dentro, compreso i vostri documenti. Mi dispiace, mister Maradona, io ho fatto il possibile. E' adesso come fate a pagare centomila lire che mi dovete? Io ho il treno tra dieci minuti».
«Non ti preoccupa, amico. Barista, tu ora credere che io essere Maradona?»
«Adesso sì. Vi preparo il cappuccino e la sfogliatella e vi chiedo scusa se ho dubitato di voi».
Tutti i clienti fecero cerchio intorno al calciatore e gli chiesero l'autografo.
«Mister Maradona, io ho il treno tra poco e mi servono centomila lire».
«Barista tu dare me centomila lire per questo signore che deve partire. Domani mattina io portare te duecentomila lire per favore che tu mi fa».
«Con molto piacere, mister Maradona. Ecco a voi centomila lire, signore, è buon viaggio».
«Grazie. Arrivederci, signor Maradona è in bocca a lupo. Voi ci farete vincere Scudetto e Coppa».
«Io fare molto di più in questa città».
Subito dopo aver finito di mangiare la sfogliatella e di bere il cappuccino, il calciatore salutò il barista.
«Io andare via per fare allenamento con squadra del Napoli. Domattina essere qui per pagare voi debito».
«Arrivederci, mister Maradona e forza Napoli. Vi aspetto domani mattina».
«Forza Napoli. Io venire più spesso a questo bar».
Dopo neanche un minuto entrò nel bar un maresciallo dei carabinieri in divisa, insieme a due colleghi. Si avvicinò al bancone e si tolse la visiera per asciugarsi il sudore dalla fronte. I suoi colleghi lo imitarono.
«Tre birre ghiacciate alla spina», ordinò al barista.
«Quest'anno il caldo è iniziato in anticipo, maresciallo».
«Gennaro, io sono qui per metterla in guardia. Sono ore che giro per i locali, purtroppo alcuni baristi si sono lasciati fregare come polli».
«Che è successo, maresciallo? Hanno rapinato nei bar?»
E intanto riempiva i boccali di birra.
«No, Gennaro. Per fortuna siamo arrivati in tempo. Dall'arrivo di Maradona non c'è più pace».
«Un fuoriclasse come lui ammuina tutta la città, maresciallo. Non è neanche arrivato che se va in giro da solo. Neanche dieci minuti fa gli hanno rubato il portafoglio, proprio qui fuori in strada. Il suo amico, poveraccio, e corso dietro al ladro e non è riuscito ad acchiapparlo, però ha recuperato il portafoglio, ovviamente era vuoto».
Il maresciallo e i suoi colleghi guardarono il barista con sguardo ammonitorio.
«E’ vero, maresciallo», insisté il barista, e aggiunse: «I miei clienti possono confermarlo».
«E’ proprio vero, maresciallo», confermarono in coro i clienti in sala. Una decina in tutto.
«Poi, a un certo punto, entra un signore nel bar con aria sfinita e si rammarica di non aver acciuffato il ladro perché era troppo veloce per lui, però, in compenso, recupera il portafoglio vuoto nel contenitore dell’immondizia».
Il barista e i clienti restarono ammutoliti e a bocca spalancata nell’ascoltare per bocca del maresciallo l’esatto svolgersi degli eventi di cui erano stati testimoni, increduli nell’essersi fatti raggirare come polli, soprattutto il barista, l’unico a rimetterci per l’occasione.
«San Gennaro mio! Non credo di sentirmi molto bene, maresciallo».
«Lo credo bene, è stato appena derubato. Le ha chiesto centomila lire in prestito, vero?»
«Sì, maresciallo. Me lo sentivo che non era lui. Povero me! E’ adesso che dirò a mia moglie, quella mi ammazza. Perché non lo inseguite e mi riportate i soldi, maresciallo?»
«Lei riavrà i suoi soldi, Gennaro. Il sosia di Maradona e il suo complice hanno già derubato un paio di bar, se attueranno lo stesso piano potremo incastrarli, così io potrò arrestarli e lei potrà riavere i suoi soldi».
«Davvero! Oh, San Gennaro mio, una volta tanto datti da fare, aiutami!» impetrò il barista, rianimatosi di colpo.
«Tra un paio di minuti il sosia di Maradona ritornerà per chiederle cinquantamila lire per pagare il taxi per farsi accompagnare allo stadio per l’allenamento e poi a casa».
«Devo dargli altri soldi?»
«Lei non deve fare assolutamente niente. Vuole che arresti quei furfanti? Lasci fare a me».
«Che cosa devo fare, maresciallo?»
«Deve mimetizzarsi con i suoi clienti».
«E’ al bancone? »
«Ci sarò io. I miei colleghi aspetteranno sull’uscio e al mio segnale interverranno tempestivamente».
«Ma lei e i suoi colleghi indossate la divisa».
«Non è un problema perché le toglieremo. Mi prepari un camice, io intanto comincio a spogliarmi».
«E’ davvero un’idea geniale, maresciallo. Voglio che arrestiate quel farabutto».
«Lei, Gennaro, non deve intervenire assolutamente qualsiasi cosa succeda. Siamo intesi?»
«Sì, maresciallo. Non farò niente che lei non voglia».
«Bravo! E ora muoviamoci perché presto quel mascalzone sarà qui».
«Ecco il camice per lei, maresciallo. Io vado a mimetizzarmi con i miei clienti. Mi raccomando».
«Andrà tutto bene, Gennaro. Si fidi della legge. Colleghi, dopo che avete bevuto la birra, nascondete le divise in macchina e poi piazzatevi sull’uscio con aria tranquilla e indifferente. Al mio segnale con la testa, arrestate il sosia di Maradona e conducetelo in macchina che poi lo porteremo in caserma. Sono stato chiaro? »
«Signorsì!» risposero in coro i due colleghi. Eseguirono l’ordine alla svelta dopo aver scolato la birra.
Il barista Gennaro fu accolto con incoraggiamento dai suoi clienti.
Il maresciallo indossò il camice e corse dietro al bancone fingendosi barista. Si versò del whisky ghiacciato in un bicchiere e bevve alla salute di tutti i presenti, poi si preparò un caffè e lo corresse con il whisky, sotto gli occhi incupiti del barista.
I due colleghi fecero cenno al maresciallo dell’arrivo del sosia di Maradona.
«Scusa, barista, se io fare presto ritorno a bar di nuovo», disse costui appena raggiunse il bancone. Nel rendersi conto di trovarsi davanti a un altro barista indietreggiò sorpreso e interrogò con voce delusa: «Tu non essere barista di prima. Tu chi sei?»
«Io sono Ciro, il fratello, mister Maradona. Sono a sua completa disposizione. Che cosa desidera bere?»
«Io non avere tempo per bere. Io venuto qui per…»
«Sì! Dica pure, in questo bar c’è proprio di tutto, anche liquori argentini».
«In confidenza, signore, io avere bisogno di soldi per pagare taxi perché stare senza soldi…»
«Lo so. Mio fratello mi ha raccontato della sua brutta avventura e mi dispiace molto. Proprio a lei, mister Maradona, hanno rubato il portafoglio, che ingratitudine. Napoli è ben altra cosa, è vita, gioia e arte».
Il barista Gennaro si mordeva le dita per la rabbia. I suoi clienti lo esortarono a calmarsi.
«Io avere fretta. Tu dare me soldi, subito. Io, domattina, portare soldi, molti soldi per ripagare vostra fiducia».
«E’ un onore per me farle credito, mister Maradona».
Il maresciallo aprì la cassa e prelevò una banconota da cinquantamila lire e la fece vedere a tutti, dopodiché la consegnò nelle mani del sosia di Maradona che se la infilò in tasca e si apprestava ad andare via.
«Grazie, signore. Io adesso andare via perché in ritardo allenamento».
«Ma certo, mister Maradona. Con lei in squadra quest’anno FAREMO GRANDI COSE.
«Grazie a lei».
Nel momento in cui il sosia di Maradona varcò l’uscio, i due colleghi del maresciallo intervennero come un fulmine, lo afferrarono e lo trascinarono fuori in strada come un fagotto, fecero fatica a trattenerlo perché questi scalciava e si dimenava come una furia, riempiendoli di offese e di sputi.
Il barista Gennaro esultò come un bambino e i suoi clienti si complimentarono con lui e il maresciallo.
«Le assicuro che domani i giornali parleranno di me e di lei, Gennaro. Sarà lo scoop del mese».
«Devo pagare due caffè e un amaro Averna, Gennaro. Puoi cambiarmi?»
Il cliente mostrò una banconota di cinquantamila lire sul bancone e il barista la prese per infilarla nella cassa e prendere il resto. Nell’aprire la cassa la trovò completamente vuota, c’erano soltanto alcune monete nel vano scompartimento. Gennaro si stropicciò gli occhi per accettarsi che non fosse frutto di un’allucinazione. Nello spalancare gli occhi, nella cassa non vide nessuna banconota, al suo interno c’era l’ammontare di un guadagno intero di un mese, equivalente a un milione di lire, proprio quel pomeriggio doveva fare il versamento in banca. Il cliente restò a guardarlo con aria dinoccolata perché lo vide imbambolato e con gli occhi fissi davanti a sé. Chiamò a raccolta gli altri clienti e, nel momento in cui si appressavano verso il bancone, videro il barista cadere stecchito a terra, privo di sensi, e la cassa completamente vuota, soltanto allora capirono che era stato rapinato.
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